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Museo Witaker "Giovinetto di Mothya"

Mozia (anche nota come Mothia, Motya), oggi San Pantaleo, è un'isola dello Stagnone di Marsala. Sull'isola era situata l'antica città fenicia omonima. L'isola si trova di fronte alla costa occidentale della Sicilia, tra l'isola Grande e la terraferma, ed appartiene alla Fondazione Whitaker.

Sull'isola il livello del mare si è innalzato di circa mezzo metro rispetto all'epoca fenicia, e quindi parte dei resti archeologici risulta sommerso.

L'accesso all'isola è consentito solo da due imbarcaderi privati, che oltre a collegare la stessa Mozia alla terraferma permettono di visitare anche le altre isole dello Stagnone. L'isola appartiene alla Fondazione Whitaker, e benché sia aperta al pubblico e visitabile durante gli orari di apertura, è in vigore il divieto di sbarco non autorizzato. Nell'antichità una strada collegava la terraferma all'isola tra Capo San Teodoro e l'estrema punta moziese settentrionale: oggi la stessa via risulta sommersa, e non è più praticabile a causa dell'erosione e delle alghe.

Agli inizi del Novecento l'intera isola fu acquistata da Joseph Whitaker, archeologo ed erede di una famiglia inglese che si era trasferita in Sicilia arricchendosi con la produzione del marsala. Fu lui a promuovere i primi veri e propri scavi archeologici, che iniziarono nel 1906 e proseguirono fino al1929: si misero in luce il santuario fenicio-punico del Cappiddazzu, parte della necropoli arcaica, la cosiddetta Casa dei Mosaici, l'area del tofet, le zone di Porta Nord e di Porta Sud e della Casermetta; Whitaker si occupò inoltre della sistemazione degli scavi, acquistando l'isola e sistemandovi il museo. Nel 1930 lo scavo del santuario del Cappiddazzu fu portato a termine da Pirro Marconi, ma solamente dal 1955 gli scavi furono proseguiti da una missione archeologica inglese dell'Università di Leeds, diretta da Benedikt Isserlin e a cui partecipò anche Pierre Cintas, celebre archeologo che aveva già scavato a Cartagine: le indagini interessarono le zone di Porta Sud e di Porta Nord ed il Kothon,  e fu rimessa in luce una capanna preistorica nell'area del Cappiddazzu.

Nel 2005 sono state avviate le prime indagini di archeologia subacquea dirette dal Prof. Sebastiano Tusa della Soprintendenza del Mare con il supporto della Coop.SYS che hanno riportato alla luce sulla strada sommersa delle strutture identificabili come delle banchine.

Nel 1979, durante una campagna di scavi in località "Cappiddazzu", quartiere "industriale" dell'antica Mozia fenicia, (a circa due metri di profondità, sotto un cumulo di massi) venne scoperto quello che, per tanto tempo, è stato chiamato "Il Giovanetto di Mozia".
Si tratta di una monumentale statua di tipo greco, in marmo jonico della Tessaglia, alta poco meno di un metro e novanta, risalente alla seconda metà del V secolo a.C. (delle scuola di Fidia) e, che forse, faceva bella mostra nell'agorà di Mozia, esposta all'aperto.
Il Prof. Alfonso Juan Cuny, dell'Accademia delle Belle Arti di Spagna, in visita al Museo di Marsala, dove la statua si trovava, riconobbe nelle fattezze della scultura l'Apollo Patroo (Apolllo che esce dalle acque conducendo il carro del sole); all'identica sua conclusione sono arrivati anche il Prof. Giuseppe Agosta, insigne archeologo di Marsala, ed il Dott. Ernesto la Rosa, Vice Questore di Palermo e studioso di archeologia.
Tutti e tre, sono giunti a tale certezza attraverso il metodo deduttivo, ed in particolare:
accertando, in primo luogo, che la statua, sicuramente, intendeva rappresentare un Dio (i boccoli sulla testa), un auriga (dalla cintura degli aurighí attorno al petto)
identificandolo, anche dal particolare della tunica bagnata.

La casa sull’isola, l’attuale Museo Whitaker, divenne un piccolo antiquarium dove erano esposti i reperti provenienti dagli scavi.

Dopo la sua morte, la moglie e le due figlie Norina e Delia hanno continuato la sua straordinaria attività culturale ed alla morte di Delia avvenuta nel 1971 è stata costituita l’attuale Fondazione.

La Collezione Whitaker costituisce una preziosa testimonianza delle ricerche archeologiche effettuate a Mozia, Birgi e Lilibeo.

Grazie all’opera di ricerca di J. Whitaker il museo conserva reperti archeologici rinvenuti sia da scavi sistematici, sia trovati casualmente. A questi si aggiunsero donazioni e acquisti.

I materiali archeologici andavano aumentando tanto da riempire scaffali, armadi a vista e mensole per una composita esposizione. All’ingresso della casa furono collocati il Complesso scultoreo dei due leoni che azzannano un toro e i Capitelli della Casa dei Mosaici.

Il Museo, ospita oltre al Giovane di Mozia, corredi funebri provenienti dalla necropoli arcaica dell’isola, anfore commerciali, greche, fenicie ed etrusche, una ricca collezione di vasi a vernice nera e figure rosse della necropoli di Birgi, oltre ai materiali provenienti dal Tofet, dall’abitato di Mozia e dalla Casa dei Mosaici.

Ma anche gioielli e armi, amuleti e scarabei e oggetti con sopra incise didascalie originali oltre che strumenti d’uso cosmetico o chirurgico e frammenti di stele iscritte provenienti dalla necropoli di Lilibeo.

I gioielli sono in prevalenza esemplari in argento e bronzo oltre che in oro, di discreta fattura, compresi tra il VII ed il IV secolo a.C. e le gemme incise, corniole, ambre e cristalli di rocca sono provenienti da Lilibeo e rientrano nella produzione corrente di età ellenistica e romana.

 

 


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